La vicenda Burkini riporta un po’ alla mente la bella riflessione di Adorno e Horkheimer ne “La dialettica dell’Illuminismo”. La ragione illuminista, che libera inizialmente dall’ignoranza e dal dogmatismo, finisce per essere essa stessa strumento di imposizione.
Un costume che viene dall’Australia
Di Rosario Coco – E’ nato in Australia il costume integrale che tanto ha fatto discutere in questi giorni ed è stato brevettato nel 2006 dalla stilista di origine libanese Aheda Zanetti. Inizialmente pensato per la pratica sportiva, si è poi diffuso anche per l’attività balneare, incontrando l’esigenza di tutte quelle donne musulmane più osservanti.
A differenza del Burka (o Burqa), il burkini lascia scoperto il volto coprendo solamente i capelli.
L’ordinanza del comune di Cannes, che ha vietato il Burkini in spiaggia e che ha dato il via alle note dichiarazioni di Valls e a seguire anche di Merkel, è da inquadrare in un contesto normativo, quello francese, connotato da una concezione molto “forte” del concetto di laicità, che a volte sfocia anche in decisioni e dichiarazioni più che discutibili.
L’idea che qualcuno debba decidere come e quando le donne debbano liberarsi dal Burka riporta un po’ alla mente la bella riflessione di Adorno e Horkheimer ne “La dialettica dell’Illuminismo”. La ragione illuminista, che libera inizialmente dall’ignoranza e dal dogmatismo, finisce per essere essa stessa strumento di imposizione.
La questione si sviluppa ad ogni modo su più livelli e il tema della parità di genere è solo uno di questi.
Non si tratta di una nuova proposta di legge
E’ bene anzitutto chiarire che non è stata proposta una nuova legge, bensì una lettura più restrittiva della normativa già esistente.
Nel 2004 la Francia ha vietato l’uso del velo nelle scuole mentre nel 2010 è stato il primo Paese in Europa a imporre il divieto di indossare il velo integrale nei luoghi pubblici. Nel 2014 la Corte europea dei diritti umani aveva stabilito che il provvedimento non violava il diritto alla libertà di religione nè quello al rispetto della vita privata. Il testo non menzionava esplicitamente il velo integrale, ma parlava di “dissimulazione del volto nei luoghi pubblici”.
I principi alla base di questi provvedimenti sono sostanzialmente due: la questione della sicurezza e la necessità di impedire la copertura dei volto nei luoghi pubblici; la questione della laicità, intesa nella costituzione francese come neutralità dello spazio pubblico a qualunque simbolo religioso che possa essere strumento di “propaganda”.
La Costituzione francese del 1958, all’art. 1, qualifica la Repubblica esplicitamente come “indivisibile e laica”, mentre lo stesso termine ricorre nel preambolo della Costituzione del 1946, espressamente richiamato da quella vigente, in riferimento all’insegnamento pubblico statale che è “gratuito e laico in tutti i gradi”. Una grande ed evidente differenza con il modello italiano, che non nomina mai la parola laicità tra i principi fondamentali della Costituzione ma si limita a definire l’indipendenza tra Stato e Chiesa e a citare i patti lateranensi. Di contro, nella Costituzione francese non si cita esplicitamente il diritto di libertà religiosa, menzionando solamente il “rispetto di tutte le fedi”; nella Costituzione italiana, invece, l’articolo 19 fa riferimento esplicito alla libertà di culto e di propaganda religiosa.
Tra laicità e diritti delle donne
Non trattandosi di velo integrale, quindi, l’ordinanza del comune di Cannes si avvicina in particolare al medesimo quadro normativo della legge del 2004, individuando il burkini come simbolo religioso “ostentato” in uno spazio pubblico. Sull’ordinanza si è già pronunciato anche il tribunale amministrativo di Nizza, il quale, interpellato in sede di ricorso, ha confermato che “l’ordinanza rispetta l’articolo 1 della Costituzione (la Francia è una Repubblica laica) che vieta a chiunque di far prevalere le proprie credenze religiose per affrancarsi dalle norme comuni nel rapporto tra enti pubblici e privati”. Ha aggiunto poi il giudice: ”Nel contesto dello stato d’emergenza e dei recenti attentati di matrice islamica avvenuti a Nizza un mese fa, indossare un abbigliamento diverso dalla abituale tenuta da bagno, può in effetti essere interpretato, come non esserlo in questo contesto, come un segno di religiosità (fonte “La Repubblica”).
E’ molto curioso trovare un legame tra l’attentatore di Nizza, che si è mostrato chiaramente lontano dallo stile di vita islamico, e le donne che ostenterebbero l’appartenenza religiosa tramite il burkini. Inoltre, è evidente il potenziale altamente provocatorio della sentenza: chiunque porti un simbolo riconducibile all’Islam sarebbe tacciabile a questo punto di propaganda integralista?
Il commento di Valls ha posto un carico da novanta all’intera questione. “Il Burkini è contrario ai nostri valori, è l’espressione di un’ideologia basata sull’asservimento della donna»”. Un argomento in più, poiché oltre alla questione laicità si inserisce anche il tema del sessismo e della parità di genere.
Sulle parole di Valls, l’ex ministro socialista Benoit Hamon, esponente tra i più a sinistra del partito e candidato alle primarie per le presidenziali 2017 ha dichiarato: “E’ il simbolo di questo fallimento della classe politica francese. Che cosa impedirà che domani le djellaba e le barbe siano vietate?”.
In Italia il dibattito ha visto posizioni discordanti, tra attivisti come Lorella Zanardo, che sull’Espresso ha dichiarato di essere favorevole al divieto e diversi politici tra cui Serracchiani e Alfano che invece hanno criticato la scelta.
Se centriamo la questione sulla laicità degli spazi pubblici, probabilmente il tema si riduce ad una controversia giuridica tutta interna all’ordinamento francese, che in questo caso ha dato vita probabilmente a una conclusione molto problematica (e forzata): è possibile vietare in ogni dove qualsiasi simbolo religioso? E davvero questa l’unica interpretazione della Carta costituzionale francese? È evidente che la risposta sia negativa e che ha decisamente buon gioco chi accusa il Governo francese di fomentare tensioni e lacerazioni non di poco conto nel tessuto sociale. A dimostrazione del fatto che non si tratti dell’unica strada percorribile, esiste anche una sentenza del Consiglio di Stato del 1989, in cui si dava una lettura molto più tollerante della presenza dei simboli religiosi nelle scuole, distinguendo tra il semplice portare simboli religiosi e l’ostentazione degli stessi. Una sentenza che però è stata ampiamente superata dall’evoluzione normativa di cui abbiamo detto prima.
Possiamo liberare le donne d’ufficio?
Se invece guardiamo il tema dal versante dei diritti delle donne, la questione diventa squisitamente di metodo. Credo sia abbastanza sterile discutere di libera scelta delle donne islamiche nell’indossare il burkini. E’ abbastanza evidente che una persona educata in un contesto culturale di asservimento della donna non sempre possa prendere coscienza della limitazione effettiva che quell’indumento comporta sul proprio corpo. Quindi la risposta è sì, molte donne islamiche scelgono il burkini perché sono abituate a farlo.
Tuttavia è anche vero che quel costume ci dice in un certo senso come eravamo noi un tempo. Sarebbe come pretendere che in Italia, improvvisamente, tutte le donne stuprate avessero iniziato nello stesso momento a rifiutare di sposare l’uomo che le aveva violentate. Fino al 1981, infatti, il “matrimonio riparatore” estingueva qualsiasi reato di violenza carnale. Non furono naturalmente tutte le donne a farlo insieme, inizialmente, ma la sola Franca Viola, che nel 1965 fu la prima a rifiutarsi di unirsi al proprio carnefice dando in questo modo un forte impulso al percorso di emancipazione femminile nel nostro Paese. Questo significa che le persone vanno accompagnate nei processi di liberazione e non “forzate”, poiché l’unica conseguenza di simili forzature può essere solo una chiusura ulteriore nel proprio sistema di valori di partenza. E’ evidente che dopo le prime multe, a Cannes, le donne del Burkini si chiuderanno in casa piuttosto che “spogliarsi”.
La sensazione è che i proclami di Valls, più che interessarsi realmente delle donne, siano il segno di una crescente difficoltà nel gestire un’opinione pubblica reazionaria e preoccupata dell’emergenza migratoria. In breve, è come se si volesse dare un colpo al cerchio e uno alla botte: “Accogliamo i migranti ma teniamo il pugno di ferro sui nostri valori contro i terroristi”.
Il risultato, purtroppo, è molto lontano dall’essere efficace; probabilmente, simili dichiarazioni sono molto più pericolose di mille burkini in giro per le spiagge, specie se consideriamo il carattere solitario e mitomane degli ultimi attentatori. Quale motivo più accattivante del fatto che il Governo francese “fa la guerra ai costumi islamici?”
L’importanza dell’incontro
Se vogliamo davvero lottare per l’emancipazione femminile forse dobbiamo sforzarci di parlare con quelle donne o di valorizzare la presenza di quelle ragazze islamiche che hanno partecipato coperte alle Olimpiadi di Rio (foto). Per molti il CIO, Comitato Olimpico Internazionale, ha “strappato” troppo poco a Paesi come l’Arabia Saudita, pretendendo almeno una donna nella squadra olimpica. Forse è vero. Forse lo sport è ancora governato troppo dagli uomini. Ma sta anche a noi spiegare il valore di quelle immagini, valorizzandone l’aspetto positivo, ovvero l’emergere di un tema agli occhi del mondo in maniera così dirompente, ma anche quell’esperienza così nuova di confronto e relazione tra quelle atlete, che sicuramente ha arricchito entrambe le parti. Incontri, sguardi, semplici strette di mano che l’ordinanza di Cannes non fa altro che evitare alla radice.
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Fonte: ANDDOS NEWS