Recentemente, alcuni attivisti LGBTI italiani e di altre nazionalità si sono ritrovati a Idomeni, al confine tra Grecia e Macedonia, per dare supporto ai 15.000 rifugiati bloccati in quell’area. L’incontro ha dato vita anche ad alcuni episodi interessanti, per cui alcuni rifugiati siriani hanno voluto a un certo punto farsi fotografare con la bandiera arcobaleno. Abbiamo intervistato a proposito Andrea Maccarrone, attivista romano giunto in loco con il gruppo Overthefortress.
Nella spedizione con il gruppo Overthefortress hai incontrato altri attivisti LGBTI?
Alla campagna aveva aderito con lo slogan “LGBT people support the refugees” anche l’associazione Anteròs di Padova presente a Idomeni con alcuni attivisti e nel gruppo di quasi 300 partecipanti c’erano senz’altro altre lesbiche e gay. A Idomeni poi mi ha fermato un’attivista greca, impegnata sul campo da circa tre settimane.
Come vi anno accolto gli altri attivisti?
Eravamo semplicemente parte dello stesso progetto, nessuna separazione. Io poi ho sempre girato con la bandiera arcobaleno al collo senza che questo suscitasse nessuno stupore né tra gli atri partecipanti né al campo profughi.
Che gruppi erano presenti a sostegno dei rifugiati?
La compagna #overthefortress è stata promossa e lanciata da un gruppo di centri sociali del nord est e dell marche ma ha avuto molte adesioni, da Roma c’erano gli amici del Baobab, dalla sicilia alcuni attivisti no muos, tante realtà greche, i verdi Europei, attivisti arrivati dalla Germania e da Praga e così via…
Come è nata la curiosità per la bandiera arcobaleno da parte dei rifugiati siriani?
Era lì la portavo sempre con me, o come mantello o come foulard e qualcuno chiedeva che bandiera fosse. Tutti lì hanno una grande voglia di incontrare dialogare, conoscere, raccontare le loro storie e chiedere. Uno dei bisogni più forti è proprio quello dell’incontro. Siamo stati ospiti in tante tende, dove spesso sono proprio i rifugiati ad insistere per farvi accomodare, offrire un a tazza di tè, o anche invitare a mangiare con loro. Era inevitabile che una bandiera così colorata attirasse l’attenzione. Una cosa è certa in tre giorni con bandiera sempre al seguito non ho potuto cogliere nessun gesto o nessun segno di intolleranza o di rifiuto. Meglio che a Roma!
Cosa gli avete spiegato?
Che era la bandiera della comunità lgbt.
Siete riusciti a capire quanto conoscessero il tema e le parole?
In generale lì il gap linguistico e culturale era complesso da superare e ovviamente non è sempre facile capirsi coi gesti, qualche parola di inglese o di arabo. Ma la voglia di comunicare era davvero tanta. Di un gruppo di ragazzi sono più che sicuro che abbiano capito, perché dopo avergli detto cosa significasse quella bandiera hanno voluto farsi delle foto insieme a noi e io allora temendo che non gli fosse chiaro ho ricominciato a spiegare a mimare e solo quando sono stato sicuro che davvero sapevano cosa facessero e che quindi la loro fosse una decisione consapevole ho accettato di fare delle foto. Devo dire che mi sono stupito anche io. Ma è bello superare così i propri pregiudizi.
Secondo te tra i rifugiati bloccati ai Idomeni ci sono anche persone LGBTI?
Sicuramente ce ne sono probabilmente a centinaia (visti i numeri complessivi), e oltretutto sapendo bene quale tragica sorte tocchi agli omosessuali che finiscono nella mani del DAESH è facile immaginare che questi abbiano una ragione in più degli altri per fuggire, ma in quelle condizioni e in quel contesto è molto difficile che siano visibili.
Cosa ne pensi dell’accordi UE-Turchia per il rimpatrio dei rifugiati dalla Grecia?
Penso che sia un accordo immorale e illegale che va contrastato in tutti i modi. La sola idea di scambiare soldi contro vite umane, trattando quelle persone come pacchi difettosi da restituire al mittente mi ripugna. Tanto più che il regime di Erdogan non offre alcuna garanzia di rispetto dei diritti umani e molti dei rifugiati sono Curdi siriani o iracheni che quel regime considera dei nemici. Molti rifugiati a Idomeni ci hanno raccontato che le condizioni nei campi profughi turchi sono del tutto inumane e non tornerebbero lì per nulla al mondo.
Credo che quelle risorse vadano meglio utilizzate per garantire corridoi umanitari e accoglienza degna di paesi civili in Europa.
Anddos ha lanciato insieme a MigraBO e al grandecolibri.com una campagna di informazione sul diritto d’asilo per i rifugiati LGBTI. Cosa pensi debbano fare a proposito le istituzioni nel nostro Paese?
Innanzitutto va ribadito che il diritto all’asilo è un diritto individuale e che non sono possibili generalizzazioni in base ai paesi di provenienza, in secondo luogo va garantita a tutti i migranti la possibilità che la loro richiesta venga presa in considerazione in modo adeguato e se il caso approfondita. Per lo specifico dei richiedenti asilo lgbt vanno garantite anche delle strutture adeguate e protette. Può succedere infatti, soprattutto nei grandi centri, che i rifugiati lgbt siano sottoposti a violenze o pressione da parte degli altri ospiti, oppure siano indotti a tacere la loro condizione per evitare ulteriori discriminazioni o violenze. Sarebbe utile accrescere la collaborazione con le realtà associative lgbt più sensibili in funzione di mediazione culturale e per garantire spazi di socialità e integrazione. Infine in caso di coppie omosessuali le autorità spesso si rivelano del tutto impreparate e invece dovrebbero assolutamente garantire la possibilità di non essere separati e di continuare a condurre la propria vita familiare.
Cosa ti ha lasciato questa esperienza?
Un’esperienza molto forte che cambia dentro. Credo di aver ricevuto molto più di quanto ho dato e che ci sia bisogno di continuare a impegnarsi per cambiare quest’Europa, per aprire i confini e le menti. Di fronte a un fenomeno così forte di negazione dei diritti umani nessuno può voltarsi dall’altra parte e siamo tutte e tutti chiamati a impegnarci, perché ci riguarda in prima persona, riguarda il mondo in cui vogliamo vivere.
La redazione
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Fonte: ANDDOS NEWS