Di Delia Vaccarello – Acque libere, davanti a sé dieci chilometri. L’oceano è bello, dice. Rachele si sente bene, l’acqua è della temperatura giusta. Due ore di gara. Poi la medaglia. Prima bronzo, poi per la squalifica dell’atleta francese Aurelie Muller, l’argento. Acque libere. La libertà di dire: dedicato a Diletta. Diletta è la compagna di Rachele Bruni, che ha conquistato il secondo posto sul podio nella gara di nuoto di fondo a Rio. Ha lottato per due anni per arrivare alle olimpiadi in forma e pronta a vincere.
Accanto a lei il suo allenatore, i parenti che l’hanno seguita tutti, tranne la nonna di 83 anni che Rachele si rammarica di non essere riuscita a convincere. Con Rachele, Diletta. E’ “tecnicamente” un coming out quello di Rachele Bruni, ovvero la rivelazione in pubblico del proprio lesbismo, ma per lei non lo è. Non sente di svelare nulla, di tirare fuori nessuna verità. La dedica le affiora alle labbra quando snocciola gli affetti più cari della sua vita. E forse fino a ieri, nella Italia priva di una legge per le unioni civili, citare la compagna le avrebbe richiesto almeno un po’ di riflessione. Oggi no. Acque libere finalmente, l’argento al collo e a fianco Diletta che l’ha seguita dedicandole su Istagram un post: “In questi due anni e mezzo sei rinata o forse davvero nata come atleta…ti ho sentito piagnere, urlare, incazzarti ma ogni volta stamparti in faccia quel cazzo di sorriso che hai solo tu… Vada come vada, hai reso orgogliosi di te tutte le persone che ti circondano, sei un esempio per tutti noi per grinta e determinazione….Hai sempre sognato le olimpiadi, ora ci sei, ora vivitele perché due anni fa eri per tutti finita ed oggi ti giochi il sogno che ogni atleta sogna di vivere… Vada come vada hai già vinto tu “, seguono tre cuoricini e la firma col nickname “dilebuu”. Rachele Bruni ha grinta, altro che “finita” come poteva sembrare due anni fa. Ha avuto la grinta che molti atleti ancora non hanno, quella di non curarsi dei pregiudizi omofobici. “Poi la legge sulle unioni civili, finalmente. Siamo ancora un passo indietro: adesso servono le adozioni”.
È l’unica incursione politica nella festa. Nell’entusiasmo della vittoria ha descritto la sua vita senza cautele mettendo ogni affetto e ogni cosa che conta al suo posto. Ma è anche vero che per Rachele ormai sarebbe stato difficile tacere. Sia perché la felicità le ha preso la mano, sia perché dei pregiudizi dice di essersene sempre fregata, ma anche perché dopo il bacio di Isadora e Marjorie è stato più semplice sentirsi a Rio, da lesbica, cittadina dei propri sentimenti. Non più straniera in un luogo dove solo gli etero possono invitarsi a nozze. Il bacio sul campo di rugby ha lasciato il segno. Subito dopo la premiazione del rugby a sette femminile, che ha visto l’Australia vincere l’oro contro la Nuova Zelanda, Marjorie Enya, responsabile dei volontari del rubgy, ha chiesto alla giocatrice del Brasile Isadora Cerullo di sposarla. Le ha fatto, come si dice in Brasile, una “pedido de casamento”, una proposta di matrimonio. L’atleta ha risposto di sì. E le compagne hanno subito circondato le due innamorate festeggiandole in mezzo al campo. Una festa coronata da un bacio appassionato immortalato da una valanga di fotografi. E non è tutto, a fare da apripista in merito alla dedica è stata Rafaela Silva. campionessa di judo. Prima brasiliana a vincere una medaglia d’oro ai giochi di Rio, ha riconosciuto di aver vinto grazie alla compagna Thamara che le fa da ufficio stampa e da social media manager. Stanno insieme da tre anni, hanno tre cani che chiamano i “nostri ragazzi”.
Un coraggio dei sentimenti che vede finora protagoniste le donne ma che, segna oggi, un chiaro spartiacque tra presente e passato. Greg Louganis l’angelo dei tuffi dovette aspettare di uscire di scena come atleta per dire al mondo di sé. Si dichiarò nel ’95 e annunciò tre anni fa le nozze imminenti con il compagno. Ha conquistato quattro medaglie d’oro alle olimpiadi unendo la perfezione dei tuffi a una vita carica di sofferenza. Avendo ricevuto la diagnosi di sieropositività nell’88, sei mesi prima delle olimpiadi di Seul, si è visto costretto a comperare di tasca propria tutte le medicine perché non risultassero a carico dell’assicurazione, fermamente deciso a tenere segreti il contagio e l’orientamento sessuale. Temeva che qualcuno dicesse alla stampa la sua omosessualità, nonché di perdere contratti e sponsor. Ma l’effetto di tale segretezza è stato il ricatto subìto da parte di alcuni dei suoi partner. Per timore dell’omofobia si faceva umiliare, ha dichiarato. Ha sofferto anche di dislessia, è stato vittima di bullismo, ha subito violenze piscologiche e sessuali. Si è definito “un morto che cammina”. Eppure ce l’ha fatta. Anche per lui ha funzionato la ricetta di vita a base di grinta, di tenace determinazione.
Rio segna anche nei numeri un passo avanti rispetto alla omofobia molto diffusa negli ambienti sportivi. Il sito “outsports” ha contato a Rio 49 atleti uomini e donne omosessuali dichiarati rispetto ai 23 di Londra. Una crescita ottenuta grazie al fatto che i media negli ultimi anni hanno parlato di più, e speriamo anche meglio, del tema. Nel conto dei 49 non figurava nessun atleta proveniente dall’Italia. Con Rachele Bruni, si tocca il “podio” dei 50.
Pubblicato su l’Unità del 17.08.2016
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Fonte: ANDDOS NEWS