Di Rosario Coco – Erdogan, si proprio lui, quello che reprimeva poche settimane fa il Pride a Istambul a colpi di idranti e manganello, quello che faceva arrestare i giornalisti e metteva a tacere in silenzio le opposizioni.
Adesso potrà fare molto di più, perché oltre ai giornalisti, tutti oggi, militari, magistrati, politici, cittadini e cittadine comuni, hanno un potenziale motivo per essere arrestati: basta l’accusa di essere golpisti.
Insomma, quello che era un regime “silenzioso”, già di per sé lontano dall’idea dei diritti umani promossa dall’istituzioni europee e internazionali, adesso diventa un vero e proprio regime, a “cielo aperto”, in cui Erdogan ha buon gioco a servirsi di tutti i mezzi, ordinari e non, per radere al suolo ogni forma di opposizione.
Da questo punto di vista, l’analisi di Antonio Ferrari sul Corriere, e l’intervista all’oppositore Gulen dagli Stati Uniti, sono certamente degne di attenzione, in quanto l’ipotesi di un colpo di stato gestito o quanto meno sobillato direttamente dagli uomini del premier turco sembra riscuotere molto credito, specie alla luce della fatidica domanda: cui prodest? Da questo punto di vista, sarà interessante come si evolverà il monitoraggio delle Nazioni Unite e della comunità internazionale sulla gestione dei poteri in questa fase da parte del Governo turco.
Su un fatto, però, non c’è alcun dubbio: Erdogan ha messo una seria ipoteca sul dominio della Turchia per molti, moltissimi anni a venire.
E questo deve far riflettere tutti, in quanto parliamo di un Paese che non solo ha represso il Pride, ma che è protagonista del noto accordo con la UE per la gestione dell’emergenza migranti. Già Amnesty International, lo scorso dicembre, aveva lanciato l’allarme sulla collaborazione che avrebbe avuto luogo pochi mesi dopo, documentando il trattamento degradante dei migranti, centri di accoglienza gestiti come carceri e rimpatri forzati.
In buona sostanza ci sono buone ragioni per pensare che la Turchia post-Golpe sarà un Turchia ancora più confessionale, più autoritaria, più vicina ideologicamente a Putin e sempre più lontana dall’Europa. Più lontana, infine, anche a tutte le istanze e le rivendicazioni di libertà delle persone LGBTI.
L’unica cosa che purtroppo tiene vincolati Turchia ed Europa è quindi un accordo in cui il coltello dalla parte del manico sembra sempre di più averlo Erdogan.
E’ possibile però chiudere gli occhi di fronte al calettamento quotidiano dei diritti umani in cambio di soluzione comunque parziale del fenomeno migratorio, che farà affluire nelle casse del governo turco oltre 6 miliardi di euro?
E’ aperto il dibattito sulle alternative.
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Fonte: ANDDOS NEWS